venerdì 22 aprile 2016

Hopfen und Malz, Gott erhalt´s

Ovvero: Dio benedica il luppolo e il malto, ma pure l’acqua e il lievito

Di Jacopo Borghi e Carlo Battistessa

Quest'anno, esattamente il 23 Aprile, il cosiddetto “editto di purezza” (o Reinheitsgebot per i germanofoni) compie 500 anni, segnati dall'impiego esclusivo di luppolo, malto e acqua da parte dei birrai bavaresi: tre semplici ingredienti che non sono mai cambiati nel corso degli ultimi cinque secoli.
Per quale motivo i bavaresi e, successivamente, tutti i tedeschi continuano ad osservare una legge vecchia di mezzo millennio e in che modo questo ha influenzato i nostri gusti in fatto di birra?


Perché per molti birra significa lager?


Ripercorriamo la storia a ritroso partendo da un’analisi del panorama brassicolo, anche italiano, attuale: è indubbio che la birra artigianale stia guadagnando sempre più terreno contro le multinazionali del bere per il controllo del mercato, al punto che all’estero è divenuta pratica diffusa l’acquisizione di microbirrifici da parte delle grandi industrie.
Il boom dei birrifici artigianali nasce in risposta ad una vera e propria “Craft Beer Revolution” che a partire dagli anni ’70 si diffuse in Inghilterra, con il CAMRA (Campaign for Real Ale), per poi raggiungere gli Stati Uniti ed infine l’Italia (che quest’anno festeggia i suoi vent’anni di birra artigianale).
Motore di questi movimenti furono i consumatori che, stanchi di bere le stesse birre anonime e uniformate proposte dalla grande industria, si reinventarono per necessità homebrewers e poi birrai per dar sfogo alla loro creatività e placare la propria sete.
L’unica opzione proposta dalle multinazionali erano le cosiddette american lager: birre a bassa fermentazione prodotte con malti chiari e a cui vengono aggiunti mais o riso, che  contengono sempre zuccheri fermentabili ed hanno un costo inferiore rispetto al puro malto d’orzo. Dal nome si intuisce facilmente come fosse l’industria americana (si pensi a Miller e Budweiser) ad aver monopolizzato il mercato con questi prodotti a basso costo.


Perché della Lagerbier in America?


Le Lagerbier attraversarono l’Atlantico, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, insieme ai molti immigrati tedeschi che raggiunsero il nuovo continente nella speranza di fare fortuna negli States.
Queste birre sono ideali per la produzione su larga scala: prima di tutto perché il processo di “lagerizzazione”,  ovvero di abbattimento della temperatura del mosto (un tempo realizzato in magazzini sotterranei, lager in tedesco), permette di eliminare più facilmente residui di cereali, luppoli e lievito che si depositano naturalmente sul fondo dei fermentatori, ottenendo birre più limpide. In secondo luogo l’utilizzo di lieviti a bassa fermentazione (Saccharomyces carlsbergensis) consente di ottenere un prodotto finito più omogeneo dato che questi non rilasciano esteri aromatizzanti come invece i lieviti ad alta fermentazione e selvatici.


Da tutta la Germania un’unica birra?


Anche per rispondere a questa domanda è necessario fare un excursus storico e porre l’attenzione su una questione sostanzialmente politica: il 10 Maggio 1871 con il Trattato di Francoforte, a conclusione della guerra franco-prussiana, la Francia riconosceva gli esiti della vittoria tedesca cedendo ufficialmente l’Alsazia-Lorena, e, contemporaneamente, gli Stati tedeschi che non facevano parte della Confederazione della Germania del Nord riconoscevano la creazione dell’Impero Tedesco con a capo Guglielmo I di Prussia, ora Kaiser Guglielmo I. Tra questi, il maggiore per estensione e peso politico era la Baviera di Ludwig II (il “re folle” costruttore del castello wagneriano di Neuschwainstein), nipote del neoeletto Kaiser. Ovviamente per l’annessione al Reich tedesco la Baviera pose una serie di limitazioni per ottenere uno posizione privilegiata rispetto agli altri stati preunitari, tra cui l’indipendenza dell’esercito e la precedenza alla successione imperiale da parte del casato dei Wittelsbach (Baviera) in caso di mancanza di eredi degli Hohenzollern (Prussia). Ma soprattutto  a noi interessa il fatto che in tutto il nuovo Reich fosse applicato il Reinheitsgebot (che viene chiamato così solo a partire dal 1918, con la Repubblica di Weimar, mentre fino ad allora era conosciuto come “editto sulla proibizione dei surrogati”). Ciò comportava da un lato l’egemonia degli stili bavaresi, e quindi dei produttori, sul mercato nazionale e dall’altro la scomparsa di innumerevoli stili locali che non rispettavano la norma (tra i pochi che sono riusciti ad arrivare ai nostri giorni troviamo le Gose di Lipsia con l’aggiunta di sale, o le berliner wiess dalla caratteristica nota lattica).


Cosa dice il “Reinheitsgebot”?


Il 23 Aprile del 1516 Guglielmo IV e suo fratello Ludovico X, duchi coregnanti di Baviera, convocarono nella città di Ingolstadt gli “stati generali” (Landständetag) per regolare, tra le altre cose, la produzione e la vendita di birra: argomento particolarmente delicato per l’epoca considerando che nel 1525 la Baviera venne sconvolta, come tutta la Germania meridionale, dalle guerre contadine (Bauernkrieg). L’ordinanza prevedeva che da San Michele (29 Settembre) a San Giorgio (23 Aprile) un Mass (1,069 litri) di birra non potesse essere venduto a più di un pfennig, mentre da San Giorgio a San Michele il prezzo poteva salire fino a due pfennig. Questo calmiere sui prezzi serviva da una parte a scoraggiare la produzione durante i mesi estivi e dall’altra a invogliare i produttori a crearsi delle scorte durante i mesi freddi per poter guadagnare di più con i primi caldi. Successivamente, con una legge del 1539, la produzione estiva venne totalmente proibita, anche per scongiurare lo scoppio di incendi nelle città sempre più affollate. Le birre, per sopportare l’estate, dovevano avere un maggiore grado alcolico per combattere le infezioni e fu così che nacquero le Märzenbier: prodotte fino al mese di Marzo e che, secondo la legge del 1516, non potevano  essere vendute a più di un pfennig al Mass per evitare l’impennata dei prezzi su un bene di prima necessità. Questi provvedimenti ricalcavano i decreti di Albrecht IV (1487), padre dei due fratelli, che aveva a sua volta confermato una legge emanata dalla municipalità di Monaco di Baviera, segno di come la crescente industria brassicola attirasse l’attenzione delle istituzioni politiche che all’epoca erano coinvolte in un continuo processo di centralizzazione del potere. Diretta conseguenza di ciò fu la creazione, nel 1589, della Hofbräuhaus, la birreria di Corte alle dirette dipendenze del Duca e che ad oggi è ancora di proprietà statale.


Cosa ne rimane oggi?


Il passaggio: “... inoltre decretiamo che in futuro in tutte le città, mercati e campagne gli unici ingredienti usati per la produzione di birra dovranno essere orzo, luppolo e acqua ...”, rappresenta il cuore dell’editto giunto fino ai nostri giorni ed attualmente inquadrata all’interno della legge tributaria della Repubblica Federale Tedesca. Come accennato prima, con la creazione dell’impero tedesco la legislazione bavarese rimase in vigore sul suolo natio per venire poi applicata gradualmente alle altre aree del Reich: nel 1873 l’utilizzo di ingredienti differenti da quelli permessi veniva solamente tassato mentre la proibizione vera e propria arrivò nel 1896 in Baden, nel 1900 in Wuttemberg, e nel 1906 in tutta la Nazione. É di questi anni l’inclusione del lievito tra gli ingredienti permessi, in seguito agli studi condotti da Louis Pasteur sui microrganismi. Ciò non significa che i vecchi birrai fossero all’oscuro degli effetti di questi funghi sulla fermentazione (un regolamento della città di Monaco risalente al 1551 cita il lievito nella produzione di birra) ma semplicemente credevano fossero un elemento intrinseco agli altri ingredienti e che quindi non dovessero essere considerati come additivo.


La ratio della norma


La limitazione degli ingredienti aveva due scopi principali: impedire la concorrenza tra birrai e panificatori per l’approvvigionamento dei cereali, lasciando a questi ultimi la possibilità di utilizzare quelli più nutrienti come il frumento e segale, ed evitare che altre sostanze nocive fossero introdotte nella cotta.
Prima della sua promulgazione una miscela di erbe aromatiche e spezie, detta gruit,  veniva aggiunta al mosto sia per coprire eventuali errori nella produzione sia per insaporire la bevanda, sebbene in alcuni casi sia documentata l’aggiunta di funghi e di altre sostanze psicotrope anche velenose.
Già dal IX secolo erano però conosciute le proprietà antisettiche del luppolo che a partire dal ‘200 si era già attestato come amaricante unico nella produzione delle birre della Germania del Nord e dell’Olanda. Si deve notare inoltre come si faccia riferimento all’orzo senza nulla dire del processo di maltazione, implicando che il cereale poteva essere aggiunto alla cotta senza essere stato lavorato producendo così birre dalla più bassa gradazione alcolica e dal presso inferiore. E’ curioso ricordare che questa particolare bevanda faceva parte anche della dieta quotidiana dei bimbi: la presenza di una pur minima quantità d’alcool la rendeva più salutare dell’acqua, spesso infetta.


E le Weißbier?


Un discorso a parte però va fatto sul frumento e sulle birre di frumento (Weizen, anche dette Weiß, bianche, dal colore della schiuma prodotta durante la fermentazione dovuto proprio all’impiego di frumento). Queste sono da sempre considerate una specialità bavarese pur contravvenendo apertamente con la legge di purezza.
La cosa non deve sorprendere perché chi aveva il potere di emanare la legge era a sua volta legibus solutus e fu così che i duchi di Baviera mantennero per se il diritto di preparare queste birre speciali, considerandolo alla stregua di altri diritti di origine feudale come quello di battere moneta o di riscuotere i dazi, al punto che nel 1548 ne fecero dono  ai signori di Degenberg autorizzandoli alla produzione anche se solo nelle zona settentrionale del ducato, al confine con la Boemia.


Gli effetti dell’editto sulle birre bavaresi


L’editto del 1516, pur limitando gli ingredienti, non fu un freno alle varietà di stili che i birrai potevano produrre. Anzi, la limitazione delle materie prime fece si che le innumerevoli variazioni sul tema esaltassero le caratteristiche dei componenti e in particolare del cereale: si pensi alla gamma cromatica di Helles, Dunkles e Schwarzbier o ai maggiori volumi alcolici di Märzen o Bockbier. Inoltre, la limitazione della produzione al solo periodo invernale, costrinse involontariamente i birrai ad operare una selezione naturale sui ceppi di lievito che venivano usati (sfruttando le rimanenze della cotta precedente, usando un processo simile a quello del lievito madre per il pane) portando all’impiego dei soli lieviti a bassa fermentazione, più efficaci dei loro predecessori nel fermentare il mosto nei mesi freddi e nelle fresche cantine in cui la birra veniva conservata durante l’estate.

Se viviamo quindi in un mondo in cui la birra per antonomasia è una lager a bassa fermentazione lo dobbiamo soprattutto a quel decreto che cinquecento anni fa Guglielmo e suo fratello Ludovico promulgarono con il consenso dei nobili, borghesi ed ecclesiastici di Baviera.

mercoledì 29 agosto 2012

CRONACA DI UNA CHIACCHIERATA DI MEZZA ESTATE

Certe storie meritano di essere raccontate. C. è un ragazzo siciliano di 24 anni, ha lasciato la scuola a 14 e da un paio d'anni fa il barista in un chioschetto affacciato sulla spiaggia del suo piccolo paese, in provincia di Messina. "Che fai nella vita? studi?" mi domanda, "sì, giurisprudenza" rispondo io. Un cenno di approvazione e attacca con la sua storia: "Mia madre voleva che studiassi e mi diplomassi ma io decisi che quella non era la mia strada. Volevo lavorare e adesso ho già 10 anni di contributi alle spalle e parecchie offerte di lavoro". C. mi serve la birra che avevo ordinato e, voltandosi verso la sua collega, prosegue: "Lei è la mia ragazza. E' laureata con 110 e lode in economia e commercio ma non riesce a trovare un impiego. Quando mi offrono un lavoro cerco di portarla con me. Sono anni che tenta di entrare in un dottorato inutilmente, ha rifiutato raccomandazioni e non ha un nome da spendere. Delle due, l'una, altrimenti qui non vai avanti". Mi domanda se anche su al nord funzioni così e rispondo che sì, in molti ambienti, raccomandazioni e nome fanno la loro parte. "E la Mafia?" domando io. C. non si tira indietro: "è una realtà, come lo è lo Stato. Se inizi una nuova attività consideri il pizzo come una delle tante uscite, alla stregua di  tasse o le altre spese. Con le giuste conoscenze nemmeno te lo chiedono. Ora le cose sono migliorate, anni fa si uccideva per strada, oggi invece la criminalità organizzata non ha interesse ad attirare su di se l'attenzione, preferisce fare affari e offrirsi alla gente disperata come una generosa alternativa allo Stato. E qui, con stipendi da 700/800 euro al mese, i bisognosi non mancano". C. non guadagna certo di più e sembra deciso a cercar fortuna altrove: "raccimolerò gli ultimi spiccioli e lascerò l'Italia" dice "il sogno è New York". Intanto si sono fatte le 4 del mattino, saluto C. e mi dirigo verso casa quando sento ancora la sua voce chiamarmi: "Ehi! lo scontrino della tua birra!". C. ha la terza media, presto lascerà l'Italia e si è fatto venti metri di corsa per darmi la ricevuta fiscale. Prima ancora che della fuga dei cervelli, dovremmo preoccuparci di quella delle persone oneste.

Luca Parravicini